È un massiccio informato di lava; e la sua nera pietra tufacea, a grossi
strati sovrapposti, offre un forte contrasto con le chiare e lisce
formazioni rocciose delle Dolomiti che da ogni parte la sovrastano.
Le sue vette, le sue creste sporgenti hanno profili singolari.
Il suo colore scuro ha maggiore risalto dopo una pioggia e dà a
tutto il gruppo montuoso l’aspetto di un gigantesco mucchio di scorie.
Non c’è da meravigliarsi che la leggenda abbia posto sotto queste
fosche montagne l'”Aurona”, il paese delle miniere e dei misteriosi
tesori.
Dal passo del Pordoj ha inizio una valle, verde di prati, che s’apre
verso oriente nella piccola piana di Reba.
E’ in quel luogo che vien giù dal gruppo del Padon il torrente che ha
nome “Ru d’Aurona”. Nel solco di questo torrente, dalla parte della
Pala di Merjàn, si trovava, dicevano, in un punto non ben definito, una
massiccia porta d’oro: l’ingresso al regno dell’Aurona.
Il quale regno era un immenso sotterraneo, illuminato da un gran
numero di piccole lampade che pendevano dalle volte. Per
questo l’Aurona era chiamato anche “il paese dell’oro e delle luci( el
paìs del or e da la lùmes )”.
Oro e pietre preziose erano ammucchiate a profusione per tutto il
regno: e ovunque gli abitanti lavoravano, raschiando, battendo,
stritolando il metallo e fondendolo in poderose fornaci.
Ma nonostante le ricchezze incalcolabili, nell’Aurona non v’era
felicità. La pesante porta d’oro rimaneva sempre chiusa e non un solo
raggio di luce poteva penetrare nel regno tenebroso. Nessuno degli
abitanti dell’Aurona all’infuori del re aveva mai veduto la luce del sole;
nessuno aveva veduto i monti, nè i prati nè i boschi nè alcuna delle
cose che sono sulla superficie della terra.
Causa di questa segregazione era un patto concluso dal re con le
potenze del mondo sotterraneo, secondo il quale egli rinunziava per
sè e per i suoi sudditi alla luce del giorno, pur di continuare a trovare
oro e gemme finchè non voleva. Per questo, le porte d’oro non si
aprivano mai.
Ma un giorno avvenne che dalla volta cadesse una lampada e che al
suo posto rimanesse un piccolo foro, nel quale si infilò un raggio di
suola. Subito fu portata una scala a pioli e un vecchio vi salì
per guardare fuori e appena ebbe gettato uno sguardo sul mondo
esterno gridò a quelli che, ansiosi, s’erano raccolti ai piedi della
scala:-Ragazzi, io son vecchio, ma cose tanto belle non ne avevo viste
mai!-Egli vedeva per la prima volta i prati verdi, i boschi, i monti dalle
bianche cime e, più splendido d’ogni immaginazione, il sole.
Cercò di spiegare agli altri le cose nuove e magnifiche, ma quando
volle descrivere il sole non vi è riuscito.
-In alto in alto, – disse -c’è una cosa che dev’essere il Signore Iddio,
perchèe riempie il mondo del suo splendore: è così bello, che tutto il
ripristino scompare in suo confronto; è così terribile che non si può
guardarlo.
Gli ascoltatori erano presi da stupore e chiedevano al vecchio che
descrivesse ancora; ed egli guardava e parlava. Ma quando, infine, fu
disceso dal suo posto d’osservazione rimase fermo in fondo alla
scala passandosi e ripassandosi le mani sugli occhi. Perché non vedeva
più i mille lumi dell’Aurona, nè l’oro, nè i mucchi di gemme? La
rivelazione fu terribile: era diventato cieco. Nessuno osò più
avventurarsi a guardar fuori. Per ordine del Re l’apertura fu murata e
gli abitanti dell’Aurona continuarono a vivere come prima, nel buio.
Ma negli animi loro era rimasta la nostalgia del sole.
Più degli altri ne soffriva la principessa Sommavida, figlia del re: le
pareva di non poter più vivere nella tenebrosa Aurona, che le mille
lampade non valevano a rischiarare. Tutto il giorno ella sedeva dietro
la porta d’oro, dove poteva udire lo scrosciare del torrente e il canto
degli uccelli e poteva anche qualche volta parlare, attraverso i
massicci battenti, coi pastori che passavano fuori e si fermavano ad
ascoltare i suoi lamenti.
Così fu che venne a saperlo Odolghes, il giovane re di Contrin, e che
deciso di liberare Sommavida, ma la solida porta d’oro non si potè nè
sfilare dai cardini, nè sfondare.
Il re Odolghes trasse allora la spada e cominciò a percuotere con essa
la porta; e soltanto dopo sette giorni di dura fatica riuscì a far saltare
una lastra d’oro.
Allora potè tirare il grosso chiavistello e finalmente aprì la porta. La
principessa gli offrì di portare via dall’Aurona quanti tesori egli
volessi. Ma Odolghen non ambiva altro tesoro che la sua mano di
sposa; la chiese e l’ottenne e Sommavida lo seguì a Contrin.
Quando Odolghes trasse dal fodero la sua spada per la prima volta
dopo di allora, s’accorse che, dal gran picchiare contro la porta d’oro,
la punta era rimasta dorata ed emanava un vivo splendore che rimase
per sempre inalterato, come se quell’oro fosse stato impresso a fuoco
sulla lama.
E, nelle battaglie, i nemici credevano che una fiamma ardesse sulla
punta della spada del re. Per questa ragione Odolghes fu chiamato
“Sàbja da Fèk” (Spada di Fuoco).
Con l’apertura della porta d’oro l’incanto dell’Aurona era rotto. Tutti i
i suoi abitanti si precipitarono fuori e si sparsero per il mondo. Tanto
grande era l’ebbrezza data loro dalla scoperta della luce del sole e
della bellezza della terra che nessuno, uscendo dall’Aurona si guardò
indietro e così ben presto non se ne conobbe più l’ingresso. Un po’ a
poco la porta d’oro fu nascosta dalla terra franata e da detriti
accumulati; e gli immensi tesori dell’Aurona rimasero per sempre
sepolti sotto le nere rocce del Padon. unica traccia del regno
scomparso è il nome di Aurona, rimasto ancora oggi al torrentello che
scende dal padon.
Probabilmente la leggenda dell’Aurona si riferisce in origine all’archetipo di una miniera di rame dell’età del Bronzo, ed ha avuto origine proprio in quell’epoca sotto forma di mito descrivente in modo velato un’oscura pratica religiosa dei minatori volta a propiziarsi gli “spiriti della montagna”, o meglio le conseguenze in cui si sarebbe potuti incorrere trascurandola.
Ancor oggi ad Auronzo sembra sussistere l’eco della leggenda di una “ Aurona ”, intesa come fiume sotterraneo che attraversava le miniere degli gnomi gioiellieri e sbucava tra Auronzo e Misurina.
Aurona è chiaramente un appellativo latino o neolatino :la principessa longobarda dallo stesso nome spingerebbe ad inquadrarlo addirittura nell’ alto medioevo.